Il brigadiere Amarante va in pensione: «Mi mancherà tutto»

Quando dei carabinieri si dice «Nei secoli fedele», non è uno scherzo. Agostino Amarante, brigadiere capo dell’Arma, dopo 35 anni di servizio, il 31 gennaio andrà in pensione. Dopo Bolzano e Napoli, dal 1989, quasi 24 anni, ha sempre prestato servizio nella stazione dei carabinieri di Carbonara di Nola. Come ha avuto modo di dichiarare recentemente, non rimpiange nulla: «Mi ritengo una persona fortunata. Ho incontrato lungo il mio percorso ottimi colleghi e validi comandanti di stazione, che mi hanno fatto crescere professionalmente e umanamente. Ho sempre fatto il mio dovere con l’attaccamento che si deve ad una istituzione così importante come l’Arma dei carabinieri. Lascio con un dispiacere immenso. A Carbonara ho tanti amici e tornerò spesso a trovarli. Tutto questo mi mancherà.» Poi si emoziona quando ricorda quella che per lui è stata l’esperienza più bella vissuta in questi anni: «Non potrò mai dimenticare quando il 12 dicembre del 2009, insieme al maresciallo Grimaldi, intervenimmo presso l’abitazione di una rumena a Palma Campania, e l’aiutammo a partorire, mentre aspettavamo l’arrivo dell’ambulanza. Fu un’esperienza che non dimenticherò mai.» 
«Il brigadiere Amarante - sottolinea il ma­resciallo Massimo Grimaldi, comandante della locale stazione dei Carabinieri - è stimato da tutti non solo per il suo alto senso del dovere, ma anche per l’umanità che lo contraddistingue. A noi tutti mancherà la presenza costante di un amico, oltre che di un collega.» La pensione non è un traguardo ma una seconda giovinezza, una nuova occasione per vivere tutto il bello della vita. Auguri Agostino!

Pietro Damiano (damianopietro@alice.it)

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Carbonara, un miracolo nel nome dell’angelo guerriero

di Pasquale Iorio 

Dal finestrino dell’auto l’attenzione viene subito catturata da viuzze strette che corrono tra fazzoletti di terra o s’intrufolano tra caratteristici giardini sotto una pioggia di agrumi. Un manifesto murale con la scritta «Comune di Carbonara di Nola, provincia di Napoli» mi dà la certezza di essere giunto a destinazione. Le lancette del mio orologio segnano le otto e un quarto. Per strada non c’è quasi nessuno. Lungo via Roma due anziane vestite di nero percorrono a piccoli passi la strada che sale dolcemente al cuore di questo piccolo comune. Perché sono qui? Ho sentito parlare di una storia molto particolare. E stamattina voglio capirne qualcosa in più. Seguitemi. 

Parcheggio a pochi passi dall’ufficio postale. La piazza principale è interessata da lavori di riqualificazione. «Tra qualche settimana sistemeranno una nuova fontana, di quelle moderne, a raso pavimento» mi dice un vecchietto appoggiato all’ingresso del bar. L’orologio civico mi guarda severo. La cinquecentesca chiesetta dell’Annunziata è aperta. Alle 8.30 padre Elio celebrerà la Messa. Ho giusto il tempo di un caffè. Approfitto. Poi entrerò in quell’edificio sacro protetto da un enorme cancello. Uno dei pochi che non figura tra i beni della Chiesa perché di proprietà comunale. 

Mi siedo su una panca di legno. Sull’altare maggiore è custodita la preziosa tavola dell’Annunciazione firmata da Marco Mele, allievo del celeberrimo pittore Fabrizio Santafede. A sinistra c’è la statua lignea di San Michele Arcangelo, intorno alla quale è fiorito un pio leggendario. Si narra che in precedenza si trovasse in una chiesetta arroccata alla montagna di Sant’Angelo e che gli abitanti di Palma Campania si adoperarono lungo tempo per portarla via da quel tempio destinato a scomparire, ma non riuscirono: la statua risultava così pesante da non muoversi di un centimetro. Particolare che spaventò non poco i palmesi che intenzionati a condurla proprio nella chiesa dedicata a San Michele Arcangelo in largo Parrocchia. 

Negli anni venti dell’Ottocento una squadra di giovani carbonaresi, motivata dalla forte devozione, riprovò. La statua, legata ai modelli Sanmartiniani, «straordinariamente divenne leggera e trasportabile». Fu così che tra lo stupore generale San Michele si avviò verso il centro di Carbonara e, passando per via Fortuna, giunse in piazza Municipio. Sul sagrato dell’Annunziata, però, ci si accorge che manca l’indice della mano sinistra. Un grande sgomento che segna una giornata di gioia. Forse durante il trasporto tra le stradine di montagna urtò a qualche ramo sporgente, spezzandosi. Tutti si lanciano alla ricerca promettendo che «la statua avrebbe fatto ingresso in chiesa solo ad avvenuto ritrovamento». 

Lo ritrova un giovane sordomuto che, dopo poco, riacquista miracolosamente il dono della favella. E dell’udito. Nessuno ricorda il nome, né il volto, di questo ragazzo divenuto il simbolo dei prodigi miracolosi del San Michele venerato qui. 

Al termine della celebrazione mi avvicino alla statua dell’angelo guerriero che, in nome di Dio, rivestito di armatura dorata, lotta perennemente contro il demonio. Ad osservarlo con attenzione l’indice conserva ancora i segni di un ricongiungimento. Una sorta di anello intorno ad un racconto che continua ad emozionare.

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